Raccolgo qui dei testi che ho scritto su alcuni aspetti della gestione del processo di (ri)costruzione della città dell'Aquila in seguito al terremoto del 6 aprile 2009.
Gli scritti, a partire da una visione critico-problematica basata su prospettiva di analisi antropologico-culturale, puntano a mettere in rilievo i momenti di ingenuità, disfunzionalità, corruzione, propaganda, speculazione, profitto che minacciano il futuro della città.

L'Aquila, 10 marzo 2010
Antonello Ciccozzi

sabato 13 marzo 2010

La FIDUCIA E' CROLLATA, SERVE AUTONOMIA L'Aquila, 10 marzo 2010

questo testo costituisce un comunicato di sintesi che ho scritto a nome di vari comitati e che dovrebbe essere pubblicato su una rivista che si accingono a dirigere i commissari attuali per la ricostruzione (e che pare si chiami "Noi l'Abruzzo")

ps. non m'è chiaro esattamente il motivo, ma il testo non poi è apparso in suddetta pubblicazione


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Mimetizzare strategie di profitto entro sistemi di aiuto è una pratica caratteristica delle relazioni di tipo postcoloniale, ma è anche quello che il sistema italiano della Protezione Civile ha messo in atto a L’Aquila per i primi dieci mesi del dopo terremoto. Che si sia fatto qualcosa non basta per pretendere ringraziamenti totali e incondizionati: dopo un anno dal sisma L’Aquila è in macerie, così l’altisonante retorica dei record e dei successi del Governo assume le parvenze di una strategia neo-dittatoriale di propaganda politica.

Gli alloggi del progetto C.A.S.E. sono caldi, ma insufficienti, spesso localizzati a spregio del paesaggio, e soprattutto hanno fatto da cavallo di Troia per profittatori di mezz’Italia, deviando di fatto fondi per la ricostruzione fuori dalle aree terremotate. Dopo un anno di aiuti complessivamente orientati prima alla speculazione che alla città, la fiducia è crollata.

Il terremoto dell’Aquila non deve continuare ad essere un’occasione per sfruttare fondi pubblici a scopo del profitto di soggetti privati, perciò il flusso economico dovrebbe essere concentrato verso la città, evitando la dispersione speculativa in catene di mediazione: è la città in concreto - ossia le soggettività singole e collettive della cittadinanza - che dovrebbe disporre dei fondi, non attori istituzionali esterni ad essa. Autonomia non significa chiusura autarchica: in città servono consigli e sostegno, non servono ordini e speculazione.

In questa situazione chiedere autonomia significa rivoltarsi contro uno sfruttamento speculativo dell'emergenza finalizzato a politiche economiche date a partire da istituzioni extralocali e orientate al profitto; significa rovesciare questo dispositivo per chiedere una ricostruzione sostenibile incentrata su principi culturali e sociali a partire dalla popolazione. Ad esempio in questi giorni il concetto generale di autonomia va coniugato nel pensare alle macerie in termini di riciclaggio e non di smaltimento, trattandole come risorsa e non come problema.

Autonomia significa prima di tutto pretendere che s’inizi a parlare e a scrivere di “terremoto dell’Aquila”, sopprimendo in toto la subdola denominazione “terremoto d’Abruzzo”, dai discorsi politici e soprattutto dagli atti istituzionali. Non si tratta di portare i fondi per il terremoto d’Abruzzo all’Aquila, ma di distribuire i fondi per il terremoto dell’Aquila su tutto il cratere, a partire dall’Aquila. Autonomia significa, prima di tutto, darsi i nomi e non subirli dall’esterno; perciò questo terremoto - dato che è iniziato nell’Abruzzo aquilano e nell’Abruzzo aquilano deve finire - si chiama “terremoto dell’Aquila”.


L'Aquila, 10 marzo 2010

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