Raccolgo qui dei testi che ho scritto su alcuni aspetti della gestione del processo di (ri)costruzione della città dell'Aquila in seguito al terremoto del 6 aprile 2009.
Gli scritti, a partire da una visione critico-problematica basata su prospettiva di analisi antropologico-culturale, puntano a mettere in rilievo i momenti di ingenuità, disfunzionalità, corruzione, propaganda, speculazione, profitto che minacciano il futuro della città.

L'Aquila, 10 marzo 2010
Antonello Ciccozzi

giovedì 11 marzo 2010

IL TERREMOTO AQUILANO E I CONDOMINI INVISIBILI 28 maggio 2009

Questo intervento è stato pubblicato (sui seguenti quotidiani web aquilani:

http://www.abruzzo24ore.tv/news/Il-terremoto-aquilano-e-i-condomini-invisibili/11289.htm

http://www.ilcapoluogo.com/e107_plugins/content/content.php?content.16384)

all'inizio di giugno 2009, ossia assai prima dell'uscita del decreto sulla ricostruzione pesante. Il testo è incentrato sul problema: "adatteranno i condomini alla soglia di sicurezza antisismica, o la soglia di sicurezza antisismica ai condomini?". Purtroppo il decreto pare confermare la validità di certi dubbi. Il rischio per la città è un tessuto condominiale "rattoppato" in nome di una ricostruzione fittizia.



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Abstract:

La questione dei condomini risulta attualmente estromessa dal discorso sulla ricostruzione dell’Aquila; tuttavia essa riguarda la maggior parte degli aquilani che rischieranno di dover vivere in futuro dentro edifici obsoleti, in cui il crollo del valore economico è correlato alla carenza di sicurezza sismica. In tal senso è necessaria una presa di consapevolezza che possa contemplare un trattamento specifico della situazione e la revisione dei parametri di abbattimento.


Terremoto d’Abruzzo: sarà anche a causa del nome che hanno voluto dare a questo disastro collettivo (qualcuno sospetta che tale scelta sia contigua all’intenzione di spalmare i fondi per la ricostruzione sull’intera Regione) che ci dimentichiamo che la peculiarità saliente di questo evento è che si tratta di un sisma urbano; il primo in Italia dalla tragedia di Messina e Reggio Calabria, il primo della modernità. Lasciando a parte le ambiguità sulla magnitudo, resta il fatto che si dice poco che l’epicentro del terremoto è stato proprio sotto una città, da considerare per quanto concerne questo discorso come un luogo connotato da un dualismo urbanistico in cui, al centro di palazzi antichi, è contiguo un più consistente anello periferico costituito quasi esclusivamente da condomini (e sporadicamente da villette a schiera o abitazioni singole che formano la tipologia abitativa che ha complessivamente subito meno danni). Questa è L’Aquila e questo rende unico ciò che è accaduto.

Pur non potendo non ammirare lo stoico impegno delle istituzioni locali a favore della rinascita del centro storico in base al motto “dov’era prima, com’era prima”, non si può fare a meno di notare che, oltre certi sensazionalismi, la maggior parte della popolazione urbana (circa l’80%) non vive in centro (i residenti nel centro storico sono circa 6000), ma nella cinta periferica, quasi esclusivamente in condomini. A farla breve, basta passare sul viadotto autostradale e guardare la città, cosa appare per lo più allo sguardo? Una pletora di palazzi condominiali. Il cuore dell’Aquila è il nostro amato centro storico, ma il corpo della città, il luogo prevalente della quotidianità degli aquilani, sono i condomini.

Bertolaso, nell’affollatissimo incontro di qualche settimana fa con il Consiglio comunale e i cittadini, ha dichiarato candidamente che: “dovete riuscire voi a trovare una sinergia tra i condòmini”: riguardo la parte quantitativamente più rilevante del disastro che si è abbattuto sulle nostre vite non c’è attualmente, dopo due mesi, né consapevolezza né strategia. La passerella mediatica ci ha saturato con le immagini del centro storico e della sventurata piccola Onna, ma dei condomini assolutamente nulla. Come stanno i condomini aquilani dopo il terremoto? A vederli sono quasi tutti in piedi, l’immagine della città pare grossomodo quella di sempre; ma – stando alle prime stime di agibilità - si tratta di palazzi quasi sempre variamente “infartuati”.

I condomini aquilani: palazzi in cemento armato per lo più a quattro piani; in cui, dopo il disastro, i primi due vedono generalmente appartamenti internamente, volte anche esternamente, distrutti; oltre ciò spesso vi è il serio dubbio o la certezza che le strutture siano più o meno gravemente danneggiate. Il futuro per i proprietari di appartamenti in condomini inagibili si presenta carico di incognite; e questo rende necessaria una presa di consapevolezza, la pretesa di un diritto di riconoscimento della situazione. Il dramma di cui si vocifera è il seguente: “come si fa a demolire tutti i condomini con danni strutturali?”, “sarebbe una spesa immane!”, “si farà di tutto per recuperarli, nei casi estremi si dovrà riportare la struttura a nudo, risanarla e poi ricostruire da capo gli appartamenti”. Chiediamoci: il gioco vale la candela?

Prima di tentare una risposta a questo interrogativo c’è da considerare un altro punto: quanto tempo ci vorrà per sapere realmente qual è lo stato in cui versano queste migliaia di palazzi? Le prime verifiche di agibilità, tutt’ora in corso, dopo un mese e mezzo, ci hanno restituito un’immagine approssimativa basata su una valutazione “ad occhio” finalizzata per lo più a un censimento preliminare della situazione. Duecento squadre di tecnici per una prova di circa un’ora di durata, due mesi di tempo. Per comprendere cosa ci aspetta riguardo la prova “seria” per la valutazione dei danni ho intervistato gl’ingegneri dello studio Projectdfp[1]. Le verifiche che attendono i condomini si chiamano tecnicamente prove non distruttive degli elementi strutturali; queste prevedono, a seconda della situazione, fino a sette test (sclerometro, pacometro, prove soniche e ultrasoniche, martelletti piatti, endoscopia, termografia, prove di pull-out), possono richiedere la messa a vista della struttura dalle coperture, necessitano – in base ai danni e alla grandezza dell’edificio - di non meno tre giorni di lavoro, e hanno un costo che può variare da qualche migliaia di euro fino a oltre ventimila euro.

Il primo punto di sconforto arriva quando si intuisce che, se per una prova che era poco più di una guardata, duecento squadre stanno impiegando due mesi, quanto tempo ci vorrà per fare tutto questo? Chi vuole fare prima dovrà agire di tasca propria? Insomma, solo per sapere quali sono le condizioni reali in cui versano le case della maggior parte degli aquilani è lecito temere che ci vorranno anni; e forse consistenti spese private che, al momento, non sappiamo se verranno rimborsate.

Il secondo punto riguarda i parametri di risanamento e la questione della soglia di abbattibilità. Una volta stabilito il danno – spiegano gli ingegneri - la struttura sarà rimessa nelle condizioni di quando è stata costruita, ossia conformemente alle norme antisismiche del ’74 o del 96 (le nuove norme, più severe, non saranno retroattive). Nella migliore delle ipotesi, dopo spese enormi e tempi lunghissimi il palazzo tornerà come prima, ossia capace di reggere a un’accelerazione di gravità di 0.25G (contro i 0.35G della nuova normativa, contro i 0.4G al suolo come media del sisma del sei aprile, contro i 0.69G di Onna, contro il picco di 1G registrato a Pettino). Se si riuscirà a rientrare si potrà stare tranquilli per il futuro? come si fa, dopo quello che è successo, ad accontentarsi delle soglie di sicurezza che si profilano? Tuttavia forse il punto cruciale riguardo la sicurezza, il diritto dei cittadini alla sicurezza, è quello che concerne i parametri con cui si stabilità una eventuale soglia di abbattibilità: adatteranno i palazzi alla soglia di abbattibilità o adatteranno la soglia di abbattibilità ai palazzi? Vale a dire: il criterio sarà la garanzia di sicurezza per i cittadini o la necessità di contenere le spese giocando sulla pelle dei cittadini?

Il dramma dei condomini è in sostanza il dramma delle strutture: mi spiega l’ing. Pellegrini che le strutture hanno due fasi prima del collasso, quella elastica e quella plastica. Quando un pilastro o una colonna superano una certa soglia di sollecitazione perdono elasticità ed entrano in fase plastica, che è una fase di non ritorno antecedente al collasso: si “allentano”, perdono resistenza, possono essere soggette al crollo anche a causa di sollecitazioni minime. Segni sui palazzi come croci tra le finestre, bombature anomale agli angoli, tamponature esplose, fessure ad angolo tra travi e colonne, sono probabili indizi di una struttura che ha subito un eccesso di sollecitazione, passando il punto di non ritorno della perdita di elasticità, entrando in fase plastica. Quasi tutti i palazzi condominiali hanno consentito agli aquilani di salvarsi; ma pare chiaro che c’è – per così dire - un’antisismicità “riciclabile” e una “usa e getta”, che ci sono case che ti permettono solo di uscire vivo e case che ti permettono anche di rientrare sicuro. Per rientrare in sicurezza molti aquilani, la maggior parte degli aquilani, dovranno aspettare anni e anni, dovranno sperare di accedere a aiuti economici consistenti, e non so se potranno essere certi di aver fatto la cosa giusta.

Torniamo allora alla prima questione posta: il gioco vale la candela? Mettiamoci in un’ottica di contenimento del danno e di tutela della sicurezza: si tratta di prospettive interrelate. Rispetto al contenimento del danno è facile prevedere che a L’Aquila il patrimonio abitativo vedrà una divisione tra edilizia pre e post sismica, con una considerevole caduta di valore economico della prima. All’interno dell’edilizia pre-sismica è plausibile che i condomini diventeranno la tipologia abitativa meno desiderabile, e quindi di minor valore. Per comprendere è forse utile un’analogia: avere un appartamento in condominio oggi a L’Aquila è come avere un’azione Parmalat dopo il crack finanziario. Quindi va sottolineato che, da un punto di vista urbanistico, la conseguenza più rilevante di questo terremoto è l’obsolescenza dei palazzi condominiali. In tale scenario quello che il futuro riserva al proprietario di un appartamento in condominio è il dilemma se spendere una cifra per il risanamento che probabilmente sarà superiore al valore futuro dell’immobile. Il tutto, veniamo alla questione della tutela della sicurezza, nel dilemma di rientrare, per il futuro, nel rischio della reiterazione del dramma del sei aprile, dopo che la morte ha avvolto quelle stanze, chiedendo ancora una volta una mano alla fortuna. Gli appartamenti nei condomini di prima del sei aprile non li vorrà più nessuno, perché si ha la sensazione che non sono luoghi sicuri, perché si ha la certezza che sono meno sicuri di altre case.

In ogni modo, anche optando per il risanamento i dubbi restano. I residenti ai primi piani sceglieranno di rifare gli interni dei loro appartamenti da capo? Li venderanno a speculatori? A voler esagerare: quelli degli ultimi piani torneranno ad abitare in condomini trasformati in palafitte? Le assemblee condominiali dovranno decidere che fare, quando solitamente già si litiga per ore nel dover decidere se cambiare una lampadina? Questo è il dramma che ci aspetta nella peculiarità di un terremoto urbano. Forse sarebbe il caso di aprire una discussione istituzionale sui condomini, di prevedere una normativa particolareggiata che contempli una differenziazione di soglia di abbattibilità a seconda delle tipologie abitative, di reinterpretare il motto del centro storico “dov’era prima, com’era prima”, e farne, per i condomini un “diverso da prima, nella sicurezza di dopo”. Quello che non si può accettare è il silenzio sull’intera questione, troppo grossa per passare inosservata. Di certo se l’esigenza di riavere il centro storico promana da una pulsione di ordine culturale, estetico, quella di riavere la periferia urbana riguarda questioni pratiche, inerenti all’abitare in sicurezza, e in nome di questo diritto dovrebbe contemplare norme severe, senza mezze misure.

La sfida economica e architettonica di rifondare per intero la città - facendosi carico realmente della questione condominiale - secondo un’urbanistica concretamente sostenibile dal punto di vista della tenuta sismica, appare, al momento, molto difficilmente praticabile. Le retoriche dell’identità si adagiano per lo più sulla rinascita del centro storico, in un discorso in cui il simbolo sussume la necessità, il diritto di tutti, di vivere il futuro in sicurezza. In questa bagarre comunicativa L’Aquila rischia di venire prima degli aquilani, questo soprattutto se gli aiuti economici saranno, come molti temono, inferiori a quelli promessi dalla propaganda. Il tutto in uno scenario preoccupante in cui i circa 15000 posti negli alloggi d’emergenza promessi già paiono abbondantemente insufficienti rispetto a stime che parlano di qualcosa che si avvicina a 40000 sfollati. Si parla ora, per colmare questo gap, di case sfitte, anch’esse probabilmente in condomini; saranno sicure? Statisticamente eventi sismici come quello che si è abbattuto sulla città possono durare fino a due anni e prevedere più repliche della stessa intensità di quella principale (così fu in Val di Noto e proprio a L’Aquila all’inizio del 1700). Si può stare sicuri?

L’invisibilità dei condomini rischia di diventare l’invisibilità di una parte enorme della popolazione urbana. Si profila così lo spettro di una nuova identità in una città spaccata in due dal terremoto, quella dei cittadini “inagibili”, la popolazione di serie B che dovrà aspettare ai margini del comune, nella migliore delle ipotesi parcheggiata per anni nelle abitazioni di emergenza promesse dal Governo. Per gli “inagibili” la prospettiva sarà spesso quella di fare il “cavolo a merenda” nei condomini della Protezione Civile, espulsi dalla città e seminati nelle periferie rurali, anche in mezzo al Parco Nazionale, consumando il tempo nell’attesa di riavere la propria vita.

L’Aquila, 28-05-2009

Antonello Ciccozzi




[1] Si tratta di uno dei tanti studi attrezzati per le prove di cui si parla in questo testo.


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